Browsed by
Categoria: Blog

Il casco

Il casco

E’ un po’ che ci penso… Da domani non indosserò più il casco quando prendo la Vespa. Il fatto è che ogni volta che lo indosso è come se qualcosa mi opprimesse, mi imprigionasse i pensieri.All’inizio era solo una sensazione, ma ultimamente ne ho la certezza: questo “dispositivo di sicurezza” imposto per legge mi recinge le idee.E non si recingono le idee.Non so come la pensate, a me questa imposizione del casco sembra tanto una limitazione della libertà personale.Come se qualcosa (e quindi qualcuno) mi volesse privare volontariamente della libertà. Un simbolo. Ecco, io vedo il casco come simbolo di questi periodi foschi e afosi, il simbolo di una testa sudata e imbavagliata.E poi chi l’ha detto che con il casco si viaggia più sicuri? Gli scienziati? Sì, ma non tutti. Alcuni sostengono il contrario. Ho letto da qualche parte che il casco limiterebbe la visibilità, attenuerebbe l’udito, che addirittura aumenterebbe esponenzialmente i pruriti. E poi che la visiera porterebbe a improvvisi riflessi, per non parlare della potenziale riduzione di ossigenazione al cervello. In poche parole, rischi per i motociclisti. Statistiche. Ma perché questi studi vengono messi a tacere? Perché con quaranta gradi all’ombra siamo costretti per legge ad indossare questi “dispositivi di sicurezza”, spesso per giunta di colore scuro?Poteri forti? Non voglio pensarci, però… Gli scienziati si sa, spesso non sono liberi. Conflitti di interessi, multinazionali. Polistirolo, gommapiuma, plastica… mi fermo qui.E poi perché solo la testa? Avete in mente quanta gente ogni anno si rompe braccia o gambe cadendo dalla moto? Forse che un motociclista azzoppato vale meno? Io non credo. Il fatto è che la testa è la sorgente dei nostri pensieri e la libertà di pensiero fa paura. Io credo piuttosto nel pensiero libero e spettinato.Oggi si comincia con il casco, e domani?

Incipit

Incipit

Ci sono giorni in cui le cose vanno così di traverso e gli imprevisti si allineano così perfettamente, che pare di scorgerci un disegno superiore, una volontà divina al contrario, se si può dire. Giorni sorprendenti, lastricati di contrattempi e destinati a lasciare piccole, profonde tracce.

E adesso Zumba!

E adesso Zumba!

In piedi e nella parte esterna della piscina, un uomo dalla corporatura importante evidenziata da una calzamaglia nera comincia a sbracciarsi senza mezzi termini, invitando tutti a seguire i suoi movimenti al grido di battaglia: «It’s aquagym time!»
Una musica esplode, violenta e festosa. Le cuffiette arancioni si radunano ai piedi dell’uomo dalla corporatura importante, non solo muscoli per la verità, e cominciano a seguire i suoi movimenti in maniera tutt’altro che coordinata. Tra sbuffi alcalino-sulfurei e schizzi da sbracciate sconnesse, una burrasca di vapore e acqua mi censura a tratti i colleghi. Rare macchie arancioni riemergono dalla tempesta, non appena il ritmo della musica si placa e l’uomo in calzamaglia comincia a roteare oscenamente il bacino. Per fortuna la cosa dura poco. Cambia il brano musicale e cambia il ritmo dell’uomo in calzamaglia, che ora annuncia: «E adesso Zumba!»
Un boato accoglie l’annuncio. È il brano del momento, o almeno di qualche estate appena trascorsa. Il capobranco comincia un andirivieni frenetico che termina con un calcio al vento, prima di ripartire nel verso opposto.
Non riesco a vedere come i colleghi riescano a replicare il calcio, per loro all’acqua, ma presto alcuni perdono il ritmo sbattendo contro altri che procedono in verso contrario. Gli incidenti comunque non creano problemi, tutt’altro: gli ingorghi aumentano lo spasso. I colleghi meno giovani sembrano maggiormente a proprio agio con il concetto di sincronia. Chissà se tutto ciò può già essere definito esperienziale?
A metà brano il maschio alfa impone al branco il cambiamento: «Braccia in alto!»
E mentre la moltitudine alza le mani divertita e saluta nervosamente la montagna, io sento crescere dentro un sentimento di insoddisfazione misto a malinconia, lo stesso sentimento che provo da una vita, forse già dalle elementari, la stessa frustrazione nel vedere gli altri divertirsi mentre io, un po’ timida e un po’ snob, non partecipo e di lato giudico.
Io superiore, che smonto dall’esterno ogni cosa, che colgo il ridicolo della situazione, che non prendo parte e che non mi godo mai niente. Anche oggi è così.
Sono tutti fortemente ridicoli e stupidi, ma si stanno divertendo.
Io, migliore di loro, sto un po’ male.
«Ora un classico. Gioca Jouer!»

Un pensiero sulla Viaggiatrice incantata

Un pensiero sulla Viaggiatrice incantata

di Valeria Gramolini

“Nuotando” tra le pagine di questo libro mi sono sentita come un pesce fuor d’acqua.
“Che ci faccio qui?” mi sono chiesta. E subito la mente è andata all’omonimo libro di Bruce Chawtin, altro viaggiatore d’altra tempra e d’altri tempi. Poi ho capito che non andava bene fare confronti e che avrei dovuto mettere da parte ogni idea di racconto di viaggio maturata leggendo Herman Hesse, Terzani o Marco Polo.
Non è infatti il viaggio il tema del libro, ma esso serve a rendere con efficacia quell’atmosfera di cosmopolitismo e di globalizzazione che fa da sfondo alla storia, o, ancora meglio, caratterizza la vita ed i pensieri della protagonista.
Paola infatti viaggia per lavoro e non per diletto o per conoscenza. A mandarla in lungo ed in largo per il mondo è il suo capo, anzi i suoi capi, i quali, come accade ormai sempre più spesso, si susseguono più velocemente di un cambio d’abiti di stagione.
Giovane dinamica e poliglotta, come ogni brava ragazza emancipata vola da sola, con agilità e sicurezza, per i cieli che sovrastano la terra, portandosi appresso PC e smartphone, che usa con grande abilità non solo nei tempi morti dei suoi spostamenti intercontinentali, ma anche in quelli del suo rientro alla base. E’ una trentenne perfettamente integrata con le richieste dei tempi: affari, velocità,  competenze informatiche e… tailleur.
Non a caso vive a Rimini, e non nel profondo Sud, e reca in sè tutti gli stigmi dell’ottimismo romagnolo, pur non essendo soggiogata dal mito del produttivismo ad ogni costo. Vi partecipa infatti in maniera piuttosto critica, come osservando dall’esterno non solo il mondo che le ruota attorno, ma anche le sue stesse reazioni a quel mondo, che raccoglie in un diario.
A volte è insofferente ai meccanismi della routine e della iper-commercializzazione di qualsiasi prodotto possa servire a far soldi, altre sembra accettarli come necessari ed imprescindibili dai tempi. Di fronte alla enorme quantità di cose, eventi, situazioni, porzioni di realtà  passate in rassegna, dall’occhio vigile ed attento di Paola, si comprende che il suo sguardo è realistico e disincantato, come a dire “se le cose stanno così e non possono essere diverse, perché si deve pur vivere, tanto vale saperle dominare e farlo nel migliore dei modi.”
Indubbiamente ci  riesce, ma c’è un prezzo da pagare. Paola infatti ha una vita scombinata dai fusi orari, da diete sballate, da mancanza di tempo o di voglia di dedicarsi a qualche passione, una vita che, pur così piena, non la salva da una sottile ma persistente solitudine.
Ha pochi amici, tra cui Stefano, amante occasionale con cui compensa il vuoto lasciato da un amore importante finito male. Il  rapporto, disinvolto e disimpegnato come si usa oggi, è una combinazione di sesso ed amicizia, il che scarica tensioni e scalda un po’ il cuore, ma non lenisce quella vaga.e sotteranea angoscia esistenziale che sempre ritorna nei tempi morti, tra una scorpacciata di dolce argentino, una bevuta di Nebbiolo, l’acquisto di una cianfrusaglia, o un viaggio.
Anche il magico mondo di Internet non placa definitivamente quell’irritazione di fondo. E’ vero, navigando, il tedio e la noia per un po’ se ne vanno. Ci si possono passare ore ed ore nel cuore della notte scaricando film o pezzi musicali, notizie ed informazioni utili, audiolibri e frasi ad effetto, ma questo non basta. Il bisogno di calore umano permane e non si arresta che temporaneamente attraverso gli incontri della rete, ora intriganti, ora deludenti.
Dopo la ferita ancora bruciante a causa del suo ex, Paola procede cautamente con “Luca nuovo”, che pare essere sulla sua stessa lunghezza d’onda. Ora spera che le abbia inviato una e-mail, ora  dubita del suo interesse, finché, decisa finalmente a dare un taglio col passato, non comincia a  coltivare la speranza che possa accadere davvero qualcosa di bello ed importante. Speranza che resterà accesa fino all’epilogo del libro, quando si concretizzerà in un incontro vero la notte della vigilia di Natale, il cui esito però non sarà eplicitato ma affidato alla fantasia del lettore.
La vita di Paola si muove a scatti, sia quando deve spostarsi per i suoi brevi viaggi di lavoro, sia quando compie l’atto di pensare, probabilmente  come fanno migliaia di  pendolari che ogni giorno vagano per autostrade o tangenziali per guadagnarsi il pane e riversarlo nelle casse dei centri commerciali, dei bar alla moda o degli happy hours.
Vite spezzate in mille frammenti che non  si ricompongono mai, attraversate come sono da un’immane quantità di stimoli e suggestioni che impediscono di giungere a qualcosa di definito e risolutivo: un mondo di precarietà e di cose di breve durata. Tutto è vissuto non solo alla giornata, ma al momento, come le relazioni sentimentali, ambigue, doppie, leggere e non coinvolgenti.
Tutti i personaggi si rendono conto che c’è qualcosa che non quadra, che vacanze o acquisti sedano solo per un po’ il disagio e l’inquietudine, tuttavia non si pongono il problema di come uscirne, forse perché la domanda sul senso non è poi così profonda… Si lasciano semplicemente vivere. E, del resto, anche se lo volessero, come potrebbero cambiare le cose?
Basta guardarsi attorno per vedere che la macchina infernale è inarrestabile, tanto a Rimini quanto a Seul, che anche nel lontano oriente ogni tradizione s’è ormai persa, contaminata dal miraggio del progresso, del consumismo o del divertimento, e che più o meno consapevolmente, siamo tutti piccoli ingranaggi del sistema.
Paola vorrebbe che quei balzi di fuso orarario, tra notti insonni e diete sballate, le portassero almeno il piacere d’uno scambio umano meno formale o di circostanza. I suoi tempi sono così stretti da non permetterle di visitare luoghi e culture così come vorrebbe. Ciò accade solo molto raramente.
Per lo più invece deve accontentarsi di uno sguardo, di una fugace passeggiata, di un colpo d’occhio lanciato da un bar verso una strada affollata o, quando va bene, di uno scambio di frasi sconnesse con il suo contatto straniero sulle grandi e irrisolte questioni filosofiche: Dio, le leggi dell’universo, il pensiero di qualche intellettuale, il perché dell’esistenza. Frammenti di discorsi che Paola registra nel suo diario, assieme a citazioni di canzoni, versi poetici, piccole banalità quotidiane: un flusso di idee turbolento, continuo e veloce.
Tutto si mescola: il serio ed il faceto, il profondo ed il leggero, alla stessa stregua di ogni prodotto globalizzato, perché tanto, alla fine, la natura umana è la medesima ad ogni latitudine, ovunque ci si pone le stesse domande ed ovunque si trovano solo tentativi di risposte, anch’esse fondalmentalmente simili. A che serve dunque perdere tempo nella formulazione di grandi teorie e dotte argomentazioni, quando, alla fine della storia, nessun pensiero vale più di un altro?
Forse è proprio questa la conclusione a cui giunge il grande navigatore della rete, che apre e chiude compulsivamente siti o blog tanto diversi tra loro, passando senza mediazioni di sorta dall’astronomia all’astrologia, dalla medicina alle ricette di cucina. In rapida sequenza finestre si aprono e si sovrappongono, spinti dalla curiosità si entra, si esce e ci si infila in un’altra porta, finché, dopo giorni, mesi ed anni di questa ginnastica cerebrale, anche il pensiero assume quel ritmo.
Gli impulsi della mente guizzano lungo i condotti cerebrali e mille e più parole e visioni si accendono simultaneamente come le lucette intermittenti degli addobbi natalizi o delle insegne pubblicitarie. Il diario di Paola ha questo andamento formale, questo linguaggio schizofrenico, almeno per tutta la prima parte del libro, finché non si manifesta anche il suo alter-ego. E, a questo punto, anch’io mi rilasso, trovando qualcosa in comune con lei e, soprattutto, un linguaggio per me più abbordabile.
Paola dà qualche segno di cedimento. Comincia ad accorgersi che la pur disordinata ed eccitante ritualità dei suoi gesti non le basta. Non le bastano i viaggi, gli amici, l’intimità aleatoria col suo PC, gli acquisti, il sesso mordi e fuggi o altri ammiccamenti… Ha invece bisogno di sedarsi, di darsi del tempo per ritrovarsi. Allora vagheggia i cieli d’Irlanda o qualche momento della sua infanzia, della sua storia segnata dalla assenza del padre e dalla perdita prematura della madre.
A catalizzare questo cambiamento di rotta latente è un libro trovato casualmente, che accende in lei il desiderio di una pienezza più vera e non surrogata dalle infinite compensazioni della rete. La storia raccontata in quel libro è così simile alla sua che vi si perde completamente, come in un abbraccio caldo. Forse ha una sorella di cui non ha mai saputo nulla. Che bello sarebbe se fosse vero!
Pur cambiando il tono del racconto, l’autore non si dilunga né in psicolgismi né in melense malinconie, ma va subito al dunque introducendo la figura di Lucia ed usando periodi più lunghi e distesi. La donna è una vecchia amica della madre e con essa Paola si aggira tra i ricordi di un passato nebbioso, e tuttavia denso di gesti ponderati e di significati. Dunque la ricerca ha inizio. Ancora su e giù per l’autostrada, ma stavolta da Termoli a Spello, verso un Italia più intima e provinciale, quella che ci vuole per riaccendere i sentimenti in prossimità del Natale, quando tutti, benchè catturati dalla solita frenesia consumistica, si volgono verso una qualche dimensione più autentica, che forse ancora persiste nel profondo.
La ricerca si rivela infruttuosa. Forse si trattava solo di una pia illusione, però almeno è servita a rispolverare stati d’animo sopiti, affetti e tenerezze che scaldano il cuore e danno un po’ più di senso ai giorni.
Lucia, buffa e grottesca nel suo tentativo di adeguarsi ai tempi moderni mentre armeggia con l’incomprensibile telefonino, può allora diventare una compagna di avventure. Paola la invita ad andare con lei in Iran, per un vero viaggio di conoscenza. Ma Lucia è troppo grande e la proposta cade nel vuoto. Il divario generazionale non permette di condividere esperienze troppo impegnative, bensì solo un tuffo nel passato ed un gospel natalizio.
Paola osserva con bonaria e paziente condiscendenza questa anziana signora che ora si cala divertita e un po’ patetica nelle vesti della signora Fletcher, ora reiterpreta maldestramente antichi ruoli casalinghi, suscitando in Paola una tenerezza  nuova.
A questo punto del testo comincio anch’io a sentirmi a casa.
Mentre invidio a Lucia la proposta del viaggio in Iran e dico a me stessa “Avessi  anch’io una giovane amica che mi offre un viaggio…”, non posso fare a meno di sorridere pensandomi alle prese con quegli stessi gesti: accendere la stufa a legna, fare il pane e la marmellata di mele cotogne.
E, pur sentendomi meno maldestra di Lucia, se non altro perché credo d’avere qualche annetto di meno, immagino quanto potrebbe essere bello e proficuo questo scambio generazionale, in cui entrambe le parti avrebbero di che guadagnarci. I giovani potrebbero rallentare un poco quella corsa verso il nulla, in cui sembrano precipitare, ancorandosi alle radici dei vecchi, e questi potrebbero germogliare di nuovo nutrendosi di quella giovane linfa, e sentirsi un pò meno tagliati fuori dalla vita.
Non so se l’autore avesse l’intento di suggerire questa riflessione nel lettore. I temi sollevati, pur così frammentariamente e sinteticamente, sono numerosi, ma a me piace leggervi proprio quel messaggio.
Voglio credere che il senso di inadeguatezza provata per tutta la prima parte, di fronte agli inglesismi, alle citazioni di autori sconosciuti e incomprensibili, alle frasi tronche e sconnesse, ai termini dell’informatica (divenutami tanto più irritante quanto più obbligata, per non sentirsi esclusi dalla modernità che avanza a velocità supersonica), quel senso di irritazione, dicevo, per la grande distanza tra il mio mondo e quello descritto con così tanto realismo dal giovane autore, dovesse proprio dissolversi con l’arrivo di Lucia sulla scena.
Non si può certamente condividere tutto, però ci si può avvicinare un po’ di più gli uni agli altri, scambiandosi esperienze, valori, sensibilità, e magari darsi anche reciprocamente una mano, anche se non ci legano rapporti di sangue.
L’autore non è esplicito né polemico al riguardo, ma mostra semplicemente uno spaccato di vita reale e plausibile. Tuttavia, tra le righe, credo che suggerisca un modo per far sì che i buoni sentimenti non siano presenti solo a Natale.
Si tratta solo di far sì che quel movimento in lungo ed in largo nello spazio, verso il futuro, ceda un po’ di posto al tempo e ai ricordi, e che lo stesso faccia la superficialità con la profondità,  l’aridità con la tenerezza.